Padri e figli; Ivan S. Turgenev

«Il nichilista è un uomo che non s’inchina dinanzi a nessuna autorità, che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto tale principio sia circondato.» 


TITOLO: Padri e figli
titolo originaleОтцы и дети

AUTORE: Ivan S. Turgenev
traduttore italiano: Paolo Nori

ANNO: 1862

EDITORE: Feltrinelli

NUMERO DI PAGINE: 222

PREZZO: 8,50€ (versione cartacea)


Quarta di copertina:

“Sono passati, da allora, centocinquant’anni, e per chi vive, oggi, in Italia, capire come agivano centocinquant’anni fa le idee e le aspirazioni delle giovani generazioni pietroburghesi su uno scrittore dell’età di Turgenev (che, essendo nato nel 1818 aveva, quando uscì Padri e figli, quarantaquattro anni) non è forse più una cosa che abbia un grande significato; eppure leggendo il romanzo resta intatto, mi sembra, quell’inspiegabile piacere di cui parlava Pisarev e che riconosceva anche Dostoevskij e che toccò anche un giovane medico che si chiamava Anton Čechov che scrisse ‘Dio mio! Quale magnificenza Padri e figli di Turgenev! Addirittura da gridare al soccorso’.”

 – Paolo Nori


Recensione:

Non è mai semplice parlare di un grande classico, soprattutto se lontano da noi ben centocinquant’anni come questo. Tuttavia, nella storia di Turgenev troviamo dei Leitmotiv ricorrenti anche ai giorni nostri: le difficoltà del ricambio generazionale, l’incomunicabilità umana, la vergogna e la paura verso i sentimenti e, ovviamente, il rapporto tra padri e figli. 

Molti dei personaggi sono perfettamente ottocenteschi, con le loro credenze e la loro etichetta sociale, mentre altri rappresentano quel nuovo modo di pensare che appartiene alla corrente del nichilismo, filosofia che nega non solo un determinato sistema di valori, ma anche, più radicalmente, l’esistenza stessa di una realtà oggettiva. All’interno di Padri e figli, il personaggio sicuramente più interessante è quello di Bazarov, un giovane nichilista che sembra sempre pronto ad andare contro qualsiasi cosa gli venga detta

«Io non condivido il parere di nessuno; ho il mio.»

Il suo atteggiamento, tuttavia, molto spesso appare solo come una facciata, un muro eretto per proteggerlo dai sentimenti e dalla vita vera. In quest’ottica, Bazarov non è molto diverso da chi critica e contraddice tanto aspramente: è il solito essere umano spaventato dall’esistenza che cerca di proteggersi come può, fingendo che non gli importi nulla di niente.

Il tema del nichilismo, comunque, contrariamente a quanto affermato da altri, non è la sola colonna portante dell’opera: a mio giudizio, infatti, centrale è il tema del rapporto tra padri e figli (come si può ben intuire dal titolo) che è un continuo interrogarsi sull’inconciliabilità delle generazioni passate con quelle presenti e future.
La simpatia dell’autore sembra essere nettamente più a favore dei padri che dei figli: gli ultimi, infatti, vengono dipinti prevalentemente come insensibili all’amore paterno, incorreggibili spezzacuori (c’è da ammetterlo, però, che è l’atteggiamento tipico di molti giovani di tutti i tempi). Così i padri che incontriamo nel corso della narrazione sono addirittura intimoriti dai figli e non si azzardano a mostrare il traboccante affetto che provano per loro.

La cosa che mi ha colpita maggiormente in questo romanzo, più dell’atmosfera spesso filosofeggiante (che resta comunque di grande interesse), è stato proprio il rapporto tra genitori e prole. Se al giorno d’oggi siamo abituati più che altro ad un rapporto familiare gerarchico coi padri e le madri a capo ed i figli sottomessi – e di certo era così qualche decennio fa – sembra di notare che all’epoca, invece, i rapporti fossero invertiti. I figli comandano a bacchetta i genitori, che si mostrano estremamente reverenziali nei loro confronti e li temono come dèi.

Per quanto riguarda la traduzione non mi sento di esprimere alcun giudizio, dato che non conosco per niente la lingua di partenza. Tuttavia posso sicuramente affermare che il testo scorre senza particolari problemi e che è stata privilegiata una traduzione che ricalcasse perfettamente i modi d’esprimersi puramente ottocenteschi, senza particolari modernizzazioni (pur non compromettendo la comprensione del testo), almeno per quanto ho potuto percepire. Filologicamente parlando, qualsiasi traduttore che lavori con testi non moderni è, per forza di cose, combattuto tra realizzare una traduzione il più possibile aderente al testo originale e tra rendere tale traduzione accessibile anche al lettore più moderno: un grande filologo spagnolo, Francisco Rico, sostiene proprio che la traduzione “perfetta” (si fa per dire, ovviamente, dato che la traduzione perfetta non esiste) sia un compromesso tra questi due poli apparentemente opposti.

In conclusione, dunque, un classico della letteratura russa che consiglio di leggere sia per la sua brevità – al contrario di molti altri “mattoni russi di scrittori morti suicidi giovanissimi” (semicit.) – sia per il contenuto ancora incredibilmente attuale.

VOTO: 4/5

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