Barba intrisa di sangue; Daniel Galera

«[…]Perché non si parla di questo genere di cose. Non importa se è così o non è così. Quello che le persone non sanno dopo che è passato del tempo non lo vogliono sapere. Capisci cosa voglio dire?»


AUTORE: Daniel Galera
traduttore italiano: Patrizia di Malta

ANNO: 2018

EDITORE: SUR

NUMERO DI PAGINE: 466

PREZZO: 20€ (versione cartacea)


Quarta di copertina:

Un ragazzo affetto da un raro disturbo che gli impedisce di ricordare i volti, una cittadina di mare fuori stagione, un mistero da svelare, la sola compagnia dell’oceano e di una cagnetta di nome Beta: questi sono gli elementi intorno ai quali Daniel Galera costruisce una storia sulla ricerca dell’identità, di un posto nel mondo e nella propria famiglia. Poco prima di suicidarsi, il padre rivela al protagonista una scomoda verità sul passato di Gaudério, suo nonno. Il ragazzo decide quindi di trasferirsi a Garopaba, idilliaco villaggio di pescatori, dove il nonno è morto in circostanze poco chiare anni prima, per far luce sulla vicenda. Qui la narrazione prende i ritmi del mare in autunno, mentre l’alone di mistero che avvolge il villaggio si fa più fitto: ben presto, il protagonista scopre il lato nascosto di una comunità felice solo in apparenza, dove viene trattato come un intruso. Tutti sembrano ricordarsi di Gaudério, eppure nessuno vuole parlare di lui. In bilico tra due relazioni e due donne che sembrano guidare le sue scelte, il ragazzo riuscirà poco a poco a stringere il cerchio, fino a portare a galla una verità del tutto inaspettata. SUR si affaccia alla narrativa brasiliana contemporanea con un romanzo forte e delicato insieme, che esplode in un finale potentissimo capace di spiazzare piacevolmente il lettore.


Recensione:

Con un inizio abbastanza lento ma necessario per inquadrare il personaggio principale, l’ambiente da cui proviene e quello in cui andrà a vivere (nonché il motivo del suo trasferimento), Barba intrisa di sangue ci accompagna in un Brasile fortemente provinciale, superstizioso e dalla memoria di ferro, dove i gáuchos non sono ben visti e non vengono mai davvero integrati nella società, che li percepisce come intrusi.
Il protagonista – che resta senza nome fino all’undicesimo capitolo – è affetto da una malattia rara (prosopagnosia) che gli impedisce di riconoscere i volti, e dopo il suicidio del padre decide di trasferirsi a Garopaba, un piccolo comune sul mare nello Stato di Santa Catarina, dove alcuni anni prima – così gli racconta il padre prima di spararsi – è stato assassinato suo nonno Gaudério, un gáucho rissoso e dal coltello facile, fortemente malvisto dagli abitanti del posto. Spinto dal desiderio di indagare sull’omicidio, il protagonista lascia la città natale di Porto Alegre per trasferirsi in una casetta davanti all’oceano. A Garopaba, però, nessuno vuole parlare di suo nonno, e l’estrema somiglianza del ragazzo con Gaudério non fa che peggiorare la sua (già precaria) posizione di estraneo in quel paesino, fino a che passato e presente non iniziano drammaticamente a mischiarsi

«I pescatori non gli danno molta confidenza. Tutti quelli con cui ha sfiorato l’argomento della morte del nonno hanno iniziato a ignorarlo. Alcuni lo seguono con sguardi ostili quando passa nelle strade del centro storico, e altri lo salutano con una simpatia che gli sembra eccessiva. A volte pensa di essere paranoico.»

Il protagonista, in ogni caso, non lascia Porto Alegre solo per indagare sulla morte del nonno, ma per fuggire dal passato e per (ri)trovare se stesso: già dal principio della narrazione, infatti, scopriamo che i suoi rapporti familiari non vanno a gonfie vele, e per qualche ragione che noi non conosciamo ce l’ha a morte col fratello, con cui non vuole avere più niente a che fare.

«Ci sono solo due posti possibili per una persona. Uno di questi è la famiglia. L’altro il mondo intero. A volte non è facile capire in quale dei due ci troviamo.»

Gli eventi narrati in Barba intrisa di sangue non sono, prevalentemente, eclatanti: Galera, infatti, ci racconta di vite comuni, di quotidianità, e fa procedere la trama lentamente, quasi senza tensione (se non quella trasmessa dalla vita stessa ad ogni essere vivente); ma non per questo il lettore si annoia, anzi, resta incollato alle pagine, una dietro l’altra, fino alla fine, seguendo la ricerca di identità del protagonista insieme agli elementi da lui raccolti per risolvere il mistero della morte del nonno.

Di grande interesse, a mio giudizio, sono sicuramente i rapporti tra i personaggi: la loro visione delle cose, spesso contrastante, fa percepire perfettamente al lettore la pluralità di punti di vista umani (i personaggi si scontreranno su argomenti quali la religione, la morale, la vita dopo la morte etc).

Importante è anche e sicuramente il tema della superstizione, che a Garopaba sembra non abbandonare neanche le generazioni più recenti

«Le leggende possono essere inoffensive, ma chi ci crede non sempre lo è.»

Infine, ho trovato molto interessante il forte contrasto tra apparenza e realtà che aleggia su Garopaba, i cui abitanti non fanno altro che lodarne la felicità e la tranquillità, alcuni arrivando addirittura a sostenere che in quel posto non sia mai stato ucciso nessuno e considerandolo un paradiso in terra dove niente di male accade

«E questo non è il posto ideale per allenarsi?
Non saprei, però da quello che mi dicono è il posto ideale per essere felici.
Jasmin rimane perplessa di fronte a quella affermazione, e gli tocca spiegarle che si tratta soltanto di una battuta che prende spunto dalla garanzia di suprema felicità di cui si ente tanta gente parlare da quando è arrivato. Le persone ripetono questa storia in continuazione come se volessero convincere te, e anche loro stessi.»

Per quanto riguarda l’aspetto formale del testo, ho trovato la scrittura di Galera particolare, talvolta e per qualche strana ragione simile alla telecronaca, fatta di frasi spesso brevi e lapidarie; l’assenza di nome per il protagonista, inoltre, può confondere il lettore più distratto: una volta abituatisi allo stile (che nel discorso diretto somiglia vagamente a quello di Saramago), però, la lettura scorre fluidamente e se ne può apprezzare a pieno la finezza. Paradossalmente, ho trovato che tale stile raggiungesse il suo apice di bellezza nei messaggi a piè di pagina (piccole postille che forniscono alcuni retroscena per capire più a fondo i personaggi ed espandere la narrazione), in cui l’autore abbandona le secche descrizioni e lascia spazio ad un fluire poetico di parole che scaturiscono dalla mente dei suoi personaggi.

Sulla traduzione non posso dire molto, non conoscendo per niente il portoghese, anche se mi è sembrata tutto sommato scorrevole e solo un paio di volte ho incontrato espressioni che al mio orecchio non suonavano benissimo.

In conclusione, ho apprezzato moltissimo questo romanzo che ho avuto la fortuna di leggere grazie a Sara di Cherie Colette – a cui sono state inviate due copie dalla casa editrice (Edizioni SUR) – con cui ho organizzato una lettura condivisa (per leggere la sua recensione sul libro cliccate qui)

VOTO: 4/5

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